Che il ragazzo fosse promettente, il maresciallo Tondo lo sapeva; anche
per questo aveva forzato la mano per farlo assegnare direttamente alla sua
squadra. Ma che potesse manifestare fin da subito le caratteristiche
dell’investigatore nato, non se lo aspettava. L’occasione giunse presto.
Qualche mese dopo l’arrivo di Mimmo a Reggio, la squadra del maresciallo fu chiamata ad intervenire sul luogo di un omicidio. Durante la notte, in
località Campisi sulle colline a nord della città un uomo venne ucciso in
un agguato. Il brigadiere Versace, Mimmo ed un appuntato che erano di turno a
quell’ora, si misero in auto per recarsi
subito sul posto.
Durante il viaggio l’appuntato relazionò sull’accaduto.
- Circa un’ora fa a Campisi c’è stato un agguato. Un morto.
Sembra che non ci sia stato scontro, lo hanno sorpreso mentre scendeva
dall’auto. Da quello che risulta dai documenti si tratta di uno del posto,
Antonio Ranieri, cinquantacinque anni, che abitava nella strada in cui è stato
ucciso.
-Il nome non mi dice niente. Si tratta di un pregiudicato?
Chiese Versace.
-I colleghi che sono intervenuti per primi non lo conoscono.
Al momento c’è una nostra pattuglia che sta presenziando, il giudice istruttore
“sembra” che si stia recando sul posto. Da quello che hanno riferito via radio
si tratta di una famiglia molto numerosa e conosciuta in paese, qualcuno dei
componenti ha precedenti penali ma non la vittima a quanto sembra. E abitano
quasi tutti in quella traversa, che porta appunto il nome della famiglia.
Traversa Ranieri.
-Speriamo che non si tratti dell’inizio di qualche faida,
allora.
Mimmo ascoltava senza dire una parola tutto quello che
dicevano i due colleghi, e contemporaneamente prestava attenzione ai luoghi che
stavano attraversando. Percorsa per qualche chilometro la strada nazionale
verso nord, avevano imboccato una strada laterale, in salita in direzione
monti. Dopo una ventina di minuti la strada si restrinse al punto tale da non
permettere il transito di più di un veicolo per volta. Dovettero affrontare
diverse curve a gomito, di cui una era talmente stretta che, per superarla, il
brigadiere dovette compiere una manovra a marcia indietro e poi ripartire. Ad
un certo punto la strada si allargò leggermente e iniziò a costeggiare sulla
destra un torrente. Erano giunti nel centro abitato di Campisi.
- Quattro case e un forno.
Disse Versace.
In effetti l’abitato si sviluppava sulla sinistra della
strada, in poche traverse che finivano cieche contro il fianco della collina.
Dall’altro lato della strada un muro a strapiombo sul torrente che scorreva una
decina di metri più sotto. Nel punto più largo, una panchina sotto un ulivo ultracentenario
e una fontana con acqua corrente cercavano di dare al posto la dignità di
piazza del paese. Ma non era una piazza e quello non era un paese. Era un
agglomerato di case, in buona parte risalenti a poco prima la seconda guerra
mondiale, sviluppatosi intorno ad una istallazione militare. Si poteva vedere,
sulla cima della collina, un centinaio di metri sopra le case, una grossa
torretta dismessa. Dietro la torretta c’era il fabbricato di un’intera
postazione antiaerea, famosa a Reggio
per l’attività svolta durante
i bombardamenti nell’ultima guerra. La “Sorbara”, era chiamata quella batteria,
dalla località in cui era collocata che prendeva a sua volta nome dalle
numerose piante di sorbo che crescevano in zona. Da quella postazione erano
stati abbattuti diversi velivoli, americani e inglesi. Proseguendo oltre, la
strada si restringeva nuovamente, e spariva dietro una curva. La traversa
Ranieri era la più grande. Terminava cieca, con un grande muro in pietra che
faceva da contenimento alla base della collina. Era particolarmente curata, sui
cigli della strada asfaltata non c’era erba né cartacce o rifiuti. In fondo,
vicino al muro in pietra, coperto da un lenzuolo, il corpo della vittima. I
presenti affermavano di avere udito due colpi di fucile da caccia. Almeno uno
aveva colpito a morte l’uomo mentre scendeva dalla macchina dopo avere
posteggiato. L’auto era posizionata parallela al marciapiede, il corpo era a
terra vicino alla portiera lato guida. Una delle scariche aveva perforato la
carrozzeria dell’automobile, i buchi dei pallettoni erano visibili a distanza nonostante
stesse ancora albeggiando. A lato, seduta sul gradino del portone di una casa,
una donna piangeva disperata, accanto a lei altre persone, uomini e donne.
Mentre il brigadiere parlava con i colleghi che si trovavano già sul posto,
Mimmo si guardò intorno. C’erano solo le prime tre lampade dell’illuminazione
stradale efficienti all’entrata della strada. Le altre quattro, in fondo,
avevano tutte le lampadine rotte. Cominciò a percorrere la traversa,
controllando i nomi dei residenti sulle porte. Nella maggior parte dei casi il
cognome era Ranieri.
Chiese ad uno dei colleghi notizie sulla strada principale,
se proseguisse verso qualche altro centro abitato. La risposta fu negativa.
Dopo la curva, in poche decine di metri moriva contro il fianco della collina.
Una volta c’era un sentiero che portava sulla cima, ma era franato da tempo. In
pratica, percorrendo quella strada si poteva andare solo a Campisi. E dalla
stessa strada si doveva tornare indietro per andare via.
Nel frattempo giunse un’auto di servizio. Ne scesero il
maresciallo Tondo e altri due uomini, di cui uno con una borsa in pelle e
aspetto da intellettuale. Tondo dapprima si avvicinò a Versace, che lo informò
sommariamente dell’accaduto poi, notando che Mimmo era tutto preso dalle sue riflessioni,
lo chiamò.
-Che c’è, dimmi cosa stai pensando.
-Hai notato le lampadine in strada? Le ultime sono state
rotte a sassate.
-Beh, non sarebbe la prima volta che qualche teppista con
la fionda si diverte a prendere di mira i lampioni.- Disse Tondo. Ma senza
convinzione, aveva capito che Mimmo aveva già una sua idea. Versace si avvicinò
ai due incuriosito.
-Certo, non sarebbe la prima volta, ma qui è avvenuto un
omicidio. E hai visto com’è tenuta in ordine la strada, non c’è una carta per
terra. Se ho capito bene la traversa è
abitata quasi interamente da famiglie che sono in stretto legame di parentela
tra di loro e considerano la strada come la corte di servizio delle loro
abitazioni. Perciò nessuno dei giovani del posto si sognerebbe mai di danneggiare
casa sua per puro divertimento, né si può pensare ad una spedizione di vandali
forestieri in un posto così isolato. Secondo me sono state rotte per agevolare
l’agguato.
Il maresciallo lo guardava compiaciuto.
-Potrebbe essere. Ma saperlo ci serve a poco…
Disse Versace.
-Aspetta- lo interruppe Mimmo ormai preso dalla foga del
ragionamento.- Hai visto com’è difficile arrivare qui? Sia per venire che per
andare via occorre per forza percorrere per almeno due chilometri la stessa
strada. Che è talmente stretta che basterebbe anche una Ape a tre ruote ferma,
per impedire il passaggio. Ora, mi sembra difficile che qualcuno venga a piedi in un posto del genere a commettere
un omicidio, in fondo ad una strada chiusa, abitata solo da parenti della
vittima che potrebbero intervenire anche rispondendo al fuoco. Ma se fossero
venuti con qualche mezzo di trasporto, come avrebbero potuto essere sicuri di
trovare l’unica strada libera al momento della fuga?
Si bloccò di colpo,
sentendosi osservato.
-Continui.
Gli disse l’uomo con la borsa in
pelle che, dietro di lui, lo ascoltava
interessato da un po’.
-Il dottore Labate è il magistrato di turno.
Disse
Tondo, divertito. Mimmo non fece una piega, ormai era in piena “trance”
investigativa.
- Bene, secondo me chi ha sparato è ancora qui, nascosto in
una di queste case, che aspetta che si calmino le acque.
Indicò le abitazioni
vicine, davanti alle lampade rotte.
-Perché proprio in una di queste?
Chiese Tondo, che
aveva già intuito la risposta ma era affascinato dal ragionamento.
-Perché una volta sparato, avrebbe avuto troppo poco tempo
per allontanarsi superando le tre lampade funzionanti senza correre il rischio
di essere visto e magari riconosciuto. Se fosse dovuto andare oltre avrebbe
rotto anche quelle. Due soli colpi di fucile, e dapprima, per almeno un minuto
nessuno sarebbe uscito a vedere. Giusto il tempo per rientrare nel buio da dove
era uscito.
-Ma trovare rifugio presso dei vicini di casa mi sembra
complicato. Se qua sono tutti parenti… Obiettò Versace
- Non credo che si tratti di un omicidio di mafia. Se guardi
bene, l’arma che ha sparato è un normale fucile da caccia, non a canne mozze.
La rosata dei pallettoni sulla portiera dell’auto è troppo chiusa per essere
stata sparata da una lupara. È stata sparata dall’altro lato della strada, che
è larga, direi, al massimo dieci metri. Quindi tra tiratore e bersaglio, tutto
compreso, ci saranno stati più o meno sei metri. Sparata da quella distanza,
una rosata di lupara sarebbe molto più ampia.
-Il ragionamento del suo collega fila perfettamente.
Disse
il dottore Labate rivolto al maresciallo Tondo.
-Mi sembra plausibile; certo
non è detto che sia andata così, ma ci sono buone probabilità che abbia colto
nel segno. Adesso le dico cosa faremo. Intanto faccia venire altri uomini per
chiudere la traversa ed essere sicuri che nessuno entri o esca dalle case senza
essere visto. Attendiamo la scientifica, che dovrebbe giungere a breve, per
farci confermare il tipo di arma usata. Se l’impressione del nostro amico sarà
confermata, autorizzerò immediatamente la perquisizione di tutte le abitazioni
della traversa. Badate bene che se ci sarà la perquisizione dovrà essere quasi
contemporanea in tutte le abitazioni. Se è vero che qua sono tutti parenti
potrebbero essere complici, e si potrebbero passare l’arma da qualche finestra
sul retro o per qualche altra via. Nel frattempo cerchiamo di non fare capire
ai presenti le nostre intenzioni. Sospendete la raccolta delle deposizioni,
ammesso che ce ne siano.
Il maresciallo disse a Versace di occuparsi dei rinforzi.
Poi rivolgendosi all’appuntato gli ordinò di recarsi presso il commissariato di
zona, e di chiedere l’elenco delle denunce di armi in carico ai residenti del
posto. Non sarebbe stato un elenco esaustivo, ma comunque utile. Sempre che si
trattasse di un’arma registrata.
La scientifica confermò subito che non si trattava di
un’arma a canne mozze, ma di un fucile da caccia a due canne presumibilmente
calibro 16. Una doppietta, forse, o un sovrapposto.
Mimmo ricordò la doppietta a cani esterni che aveva suo
nonno paterno. Cacciatore indomabile, ogni occasione era buona per imbracciare
il fucile e qualche volta, da bambino, lo aveva portato con sé, in estate. Non
gli piaceva la caccia come non gli piaceva il mercato del bestiame. Ma sparare
sì, quello gli piaceva allora come adesso. Gli piaceva l’odore del fucile
lubrificato, della polvere da sparo, il leggero odore di bruciato che gli
restava sulle mani dopo aver sparato con la doppietta del nonno. Non se le voleva
lavare dopo, quelle mani, tanto gli piaceva sentire l’odore della polvere da
sparo esplosa. Sparava, sì, ma sempre contro bottiglie vuote, oppure contro
qualche pitta di ficodindia. Ai bersagli inermi preferiva quelli inerti, senza
vita. Chissà che fine aveva fatto quella doppietta, dopo la morte del nonno.
Tornò alla realtà, e poco più in là vide il nonno seduto su un gradino, con la
stessa birritta grigia in testa, lo sguardo rivolto verso terra, le mani grosse
e piene di calli appoggiate sulle
ginocchia. Per un attimo. Poi realizzò che non era possibile. Ma la figura che
vedeva era reale. Si avvicinò, e il vecchio alzò la testa. Senza dire una
parola gli fece segno di sedersi a fianco a lui. Sotto quella birritta grigia,
le sopracciglia nere e due occhi piccoli, contornati da profonde rughe scavate
dal tempo. Mimmo si sedette come se non avesse niente da fare, se passasse da
lì per caso.
- Voi siete sbirro.
Disse il vecchio, senza
guardarlo in faccia.
- Sono della Polizia. Anche se sono in borghese.
Rispose
Mimmo, che non la prese come un’offesa. Come avrebbe potuto offendersi con il
nonno?
-Voi siete sbirro di quelli veri.
Precisò il nonno.
– Sapete
qual è la peggiore disgrazia che possa capitare a un padre?
Continuò.
-Ma perché dite che sono uno sbirro vero?
Mimmo ignorò la
domanda.
-Nessun padre dovrebbe seppellire il proprio figlio.
Sembrava
un dialogo tra sordi. Mimmo intuì che doveva lasciarlo parlare, a prescindere
da quello che ne avrebbe ricavato.
Il vecchio prese dalla tasca della giacca un pacchetto di
Nazionali senza filtro, vi batté di sotto con un dito, dal lato chiuso per fare
uscire una sigaretta e lo porse a Mimmo che rifiutò con un gesto di
diniego. La prese lui e se l’accese
affondando il viso nell’incavo delle due mani, quindi alzò il capo e volse lo
sguardo verso di lui. L’odore del tabacco bruciato andò ad aggiungersi ai tanti
aromi che il nonno emanava, riportando nuovamente indietro nel tempo il
giovane. Incastonati in quel volto arso dal
tempo, gli occhi neri del vecchio sembravano come quelle finestre con i vetri a
specchio in cui da fuori ci si può specchiare mentre chi sta dietro vede tutto
senza essere visto.
-Vi ho ascoltato, prima. Siete giovane, ma quelli più vecchi
di voi vi ascoltavano e vi hanno dato ragione. Voi siete sbirro vero.
-E voi, invece, che ne dite?
Chiese Mimmo. Sperava
di ottenere qualche indicazione utile sull’accaduto.
-Io ho seppellito mio figlio.
Disse con gli occhi
lucidi. Dietro il vetro delle finestre a specchio si accese una luce per un attimo
lasciando intravedere qualcosa. Ma fu solo un attimo, il vecchio si asciugò
subito gli occhi con un fazzoletto e i vetri tornarono ad essere impenetrabili.
-Se fosse vivo, adesso mio
figlio avrebbe quarantanove anni . E’ nato lo stesso giorno in cui mi
sono sposato, l’anno dopo.
Quindi era il compleanno del figlio e
l’anniversario del suo matrimonio. Il cinquantesimo, anniversario. Ma la nonna
dov’era? Non osava chiedere.
-Voi come vi chiamate,
giovanotto?
-Mimmo, Mimmo Musitano.
-Io sono Filippo Ranieri, e questa è la mia casa.
Si
alzò in piedi e indicando la porta dietro di lui,invitò Mimmo ad entrare.
Entrarono direttamente in cucina. Un tavolo di legno, due sedie con la seduta
in corda, un lavandino in pietra grezza con un solo rubinetto. In un angolo un
cucinino a due fornelli sopra un tavolino, a fianco la bombola del gas. Uno
stipo a quattro ante nell’angolo opposto. Non c’era niente appeso al muro,
neanche un calendario. Troppo essenziale, non c’era la mano di una donna.
Filippo Ranieri aprì uno sportello dello stipo e tirò fuori un recipiente di
metallo e un macinino. Aprì il recipiente, prese un pugno di chicchi di caffè e
li mise dentro il macinino. Iniziò a girare la manovella, e qualche secondo
dopo le narici di Mimmo riconobbero un altro odore dimenticato.
-Non avete voluto la
sigaretta, ma il caffè lo dovete accettare!-
Annuì sorridendo, non poteva rifiutare e comunque ne aveva
bisogno, non dormiva da più di 24 ore.
Macinato il caffè, il vecchio lo versò nel filtro della
caffettiera, poi riempì la caldaia con l’acqua del rubinetto. Preparò la
caffettiera, la mise sul fornello acceso, e si sedette di fronte a Mimmo. Si
tolse la birritta dalla testa, poggiandola sul tavolo capovolta e riprese a
guardare in viso il giovane da dietro i suoi occhi impenetrabili. Mimmo fissò
la sua fronte, adesso scoperta: una serie di profonde rughe, alcune verticali,
altre orizzontali la solcavano simili alle gole d’Aspromonte che l’acqua aveva
scavato nella roccia scorrendovi per millenni. E forse era proprio così, forse
erano state scavate dal sudore che era sceso copioso per tutta la vita da
quella fronte.
L’odore del caffè che usciva dal beccuccio della caffettiera
fece girare il vecchio. Spense il fuoco, tolse la caffettiera dal fornello e la
poggiò sul tavolo, sopra un sottopentola in legno. Aprì un altro sportello
dello stipo e prese due tazzine con i
piattini in porcellana bianca e oro e una zuccheriera con il bordo ed il manico
dorati; da un cassetto prese due cucchiaini d’argento. Poggiò tutto sul tavolo
in perfetto ordine e versò il caffè fumante.
Sì, lui era lo sbirro, quello che doveva fare le domande, ma
come si fa a fare domande ad un vecchio di età indefinita che ti invita in casa e ti offre il caffè di sua
iniziativa? Decise di aspettare. Mentre beveva il caffè, Mimmo notò che lo
sportello da cui il vecchio aveva preso le tazzine era ancora aperto. Dietro il
servizio da caffè c’erano due portafotografie. Appena ebbe terminato, il
vecchio poggiò la tazzina sul tavolo e si alzò bruscamente.
- Aspettate qua!
Disse, e sparì dietro la porta che
dava sulla stanza accanto. Mimmo non seppe resistere. Si alzò e si avvicinò
allo stipo, per guardare da vicino le due fotografie. In realtà erano tre. In
una cornice c’era il ritratto di una bella donna, giovane, capelli neri
raccolti a tuppo, sorridente. Nell’altra c’erano due foto affiancate; in una,
un giovane in divisa con le mostrine dell’artiglieria, a mezzobusto. Mimmo notò
che il militare aveva una forte somiglianza con il vecchio. L’altra foto era
una bellissima immagine di serenità familiare: padre, madre ed un bambino
sorridenti, seduti in terra sull’erba. La donna era sicuramente quella della
fotografia, l’uomo sembrava essere Filippo Ranieri da giovane.
-Siamo io, mia moglie
e mio figlio Peppe.-
Il ritorno del vecchio lo distolse dalle sue riflessioni.
Tornò a sedersi indietreggiando senza voltarsi, con il capo chino vergognandosi
per avere violato l’intimità del suo ospite.
- Mio figlio è morto a
ventitre anni. Mia moglie mi ha lasciato solo un anno fa. Sapete, era un bel
ragazzo, mio figlio Peppe.
Bussarono alla porta. Il vecchio non si mosse. Mimmo si alzò
e aprì. Era Versace, i suoi colleghi avevano iniziato le perquisizioni. Il
brigadiere capì che poteva aspettare, visto che comunque Mimmo era dentro. Il
giovane richiuse la porta e tornò a sedersi.
-Nel quarantatre,
quando iniziarono i bombardamenti, mio figlio era qui, in licenza. Questa casa
fu mitragliata più di una volta, perché dietro, sulla collina c’era la batteria
antiaerea della Sorbara che sparava contro gli aerei alleati. Quando finì la
licenza, Peppe non volle tornare al Corpo. Non aveva paura della guerra, voleva
stare con me e sua madre, non ci voleva lasciare soli. E si fece disertore. Non
ci furono problemi, all’inizio, perché i soldati della Sorbara qui non venivano
mai. Eravamo tutti parenti, nessuno parlava, tutti aiutavano. Poi arrivarono i
tedeschi, e una pattuglia si accampò qua da noi.-
Filippo Ranieri era rilassato, adesso. Le rughe della fronte
si erano distese, quasi scomparse.
- Peppe se ne dovette
andare. Salì in Aspromonte, ma ogni tanto, di notte, scendeva in paese. Tutto continuò
così, fino a quando non arrivò il “capitano”.-
Pronunciò la parola capitano con disprezzo.
–Il capitano,
l’eroe di guerra, l’uomo d’onore. Era venuto in licenza, il figlio di mio
cugino Ciccio. Quando seppe che mio figlio era disertore venne da me e mi disse
che Peppe si doveva presentare, che era ancora in tempo e che si sarebbe
interessato lui per aggiustare la cosa. Lo dissi a mio figlio, ma non si fidò e
rimase latitante. Ma l’eroe non poteva lasciar perdere e si mise a spiare. In
seguito disse che lo faceva per potergli parlare direttamente, per convincerlo,
ma una notte, quando Peppe arrivò lo aspettavano i tedeschi, insieme al
capitano. Lo catturarono e la mattina dopo lo fucilarono senza processo.
Proprio là fuori, contro il muro dove finisce la strada.
Mimmo chinò il capo. Cercò d’immaginare come si poteva
sentire un padre che ogni giorno, per anni ed anni, uscendo di casa vedeva per
prima cosa il luogo dov’era stato giustiziato suo figlio.
Quando alzò il capo vide nuovamente suo nonno, con in mano
una doppietta a cani esterni con la culatta aperta. Sobbalzò, dapprima, poi
capì. Il vecchio gliela porse tenendola dalle canne; l’odore della polvere da
sparo esplosa invase le sue narici.
-Perché? Perchè adesso, dopo tanto tempo?
Chiese Mimmo.
-Quando morì mia moglie, dapprima pensai che ormai non avevo
più motivo di vivere. Ma quel muro ogni giorno mi parlava e mi metteva davanti
a una scelta. Dovevo scegliere: o lui, o io. Ho scelto lui. Oggi era il giorno
giusto, e adesso quel muro non parla più.
Disse Filippo Ranieri, poi tacque.
Le rughe sulla fronte del vecchio erano ancora più profonde
di prima, e gli occhi, che mentre raccontava si erano schiariti, adesso erano
ancora più impenetrabili, e contemporaneamente penetranti.
Rimasero così, in silenzio, Mimmo ad esplorare il viso del
vecchio, il vecchio ad esplorare l’anima di Mimmo.
Poi il vecchio parlò:
-Sapete, siete un bravo giovane e somigliate assai a mio
figlio. Ho piacere che mi arrestiate voi.